domenica 17 novembre 2013
Incontro con Gian Micalessin 17-11-2013
INCONTRO CON GIAN
MICALESSIN, 16 novembre 2013
GIAN MICALESSIN
In Siria abitano 23 milioni di persone. Il 10% della popolazione è
cristiana. Una delle più antiche comunità cristiane è nata in Siria: proprio lì
si stava recando Paolo per uccidere cristiani quando rimane folgorato dalla
voce di Gesù che provoca la sua conversione, appunto “sulla via di Damasco”.
Nel 1982 il padre di Asad (sciita alawita) reprime nel sangue una
ribellione di sunniti.
Discorso di Obama all’inizio della sua presidenza: cercava alleati in
Medio Oriente oltre ad Israele. Gli Usa decidono di avvicinarsi ai musulmani
sunniti e la scelta cade su Qatar (piccolo ma ricco) e Arabia saudita.
Gli Usa puntano sui Fratelli Musulmani,
il movimento politico più importante che sta dietro alle varie Primavere arabe,
nate per esigenza di libertà, ma poi monopolizzate dai gruppi islamici fondamentalisti.
L’ Iran (sciita) rifornisce
in Libano le milizie di Hezbollah (partito politico sciita libanese, dotato di
ala militare) attraverso la Siria (che
è una sorta di “ponte” tra Iran e Libano): questo crea problemi a Usa e Israele.
Il quadro diventa ancora più problematico se gli Usa decidessero di
attaccare l’Iran perché in possesso di armi nucleari.
Strategia Usa: ridurre l’influsso della Siria per rendere la
situazione più gestibile. A questo piano si contrappongono Iran e Russia: ciascuno
ha i propri interessi.
La Russia ha una base navale in Siria (è l’unica base che ha nel
Mediterraneo): dunque la Siria è l’ultimo
grande alleato della Russia, che attraverso la Siria riesce ad avere un’influenza
nel Medio Oriente.
Chi ha interesse a far cadere Asad?
Tutti gli altri paesi mediorientali, legati agli Usa.
Arabia: simbolo dell’ortodossia
sunnita.
Turchia: anche la Turchia
ha cambiato regime, ora è molto vicina ai sunniti e ai Fratelli Musulmani.
Per tutti questi motivi, nel settembre 2013 la guerra civile nata in
Siria rischia di trasformarsi in un conflitto molto più ampio.
C’è anche un problema interno.
La Siria è divisa tra cristiani, musulmani sciiti e musulmani sunniti.
Nelle terre sunnite sono molto presenti i guerriglieri, così gli alawiti
(sciiti) scappano verso il mare, verso il Libano e la Turchia.
Si sono create in questo modo ondate di profughi : filmato sui campi profughi dove
è presente Avsi.
ALBERTO PIATTI (AVSI)
Rifugiati: cambiano il loro Paese.
Sfollati: cambiano residenza all’interno del loro Paese.
Per essere un rifugiato devi registrarti: queste persone non vogliono
registrarsi, si sono accampate come hanno potuto. Non essendo registrati, non
hanno assistenza ufficiale.
Avsi è in Libano dal 1996, siamo entrati in contatto soprattutto con
mamme e ragazzi. La cosa più importante ci è sembrata non far perdere ai
ragazzi l’anno scolastico.
(NB: c’è un campo profughi in Kenia dove vivono 400.000 persone!
Alcuni sono nati e cresciuti lì, non hanno visto altro).
DOMANDE A MICALESSIN
D. Anna Chiara: cosa la spinge
ad andare fino in Siria, quando ci sono tanti giornalisti che questa guerra la
raccontano da casa?
R. Perché sono curioso, mi
piace questo lavoro. L’ho scoperto a 8-9 anni, quando c’era la guerra del Vietnam.
Ho letto i libri di Oriana Fallaci. Quando ero al liceo i russi hanno invaso l’Afghanistan;
a 23 anni sono partito insieme ad altre persone (uno di loro è poi morto), abbiamo
girato un servizio che è stato acquistato.
Il gusto per l’avventura è molto bello, ma la cosa più importante di
questo mestiere è riuscire a raccontare qualcosa. Se muori, nessuno racconterà
le cose che hai visto. Il rischio è giustificato dall’importanza di quello che
devi raccontare.
D. prof. P.: qual è il
ruolo e l’identità affermata dall’Occidente, in tutta questa vicenda?
R. L’Occidente ha perso il
controllo della situazione: ha delegato l’appoggio ai ribelli a due stati che
non sono affatto democratici! Il Qatar è una monarchia sunnita, l’Arabia è l’altro
versante del fondamentalismo islamico, quello wahabita. L’Occidente ha
foraggiato gruppi sulla linea dell’ortodossia islamica: si tende a dare gli aiuti
a chi combatte meglio, a chi ha più esperienza ed ha ucciso di più, quindi ai
fondamentalisti islamici.
Così il moto di rivolta “popolare” contro il regime di Asad si è
trasformato in una rivolta guidata da gruppi fondamentalisti.
I cristiani stanno col governo perché il regime è l’unico che li difende,
ma avrebbero preferito più riforme. La dittatura siriana era l’unica, in Medio
Oriente, che garantiva la convivenza tra le varie comunità: ancora oggi molti sunniti
stanno dalla parte del governo.
PIATTI
Gli Usa stavano per scatenare l’ennesima guerra. Noi cosa possiamo
fare? Non dobbiamo fare la guerra. La guerra non risolve i problemi. Basta
guardare a quello che è successo nel 1990, quando gli Usa hanno invaso il Kuwait.
I mass media hanno fatto pubblicità alla guerra, dando spazio solo ad alcune
notizie e ad alcune immagini. L’intervento degli Usa in Iraq nel 2003 ha
prodotto più danno che beneficio.
Per questo se non si punta tutto sull’educazione, non si va da nessuna
parte. Sulla dimensione più vera dell’essere umano (esigenza di verità,
esigenza di giustizia) si può vivere e con-vivere.
La guerra non serve a niente. Per dirlo però ci vuole un impegno e una
dimensione attiva. Fare la pace è un lavoro, e costa (costruzione di infrastrutture,
alimentazione, condizioni minime di confort).
D. Giovannangelo: Cosa pensa del coraggio delle famiglie
cristiane che rimangono in Siria?
R. Io questo coraggio lo vedo,
lo vivo quotidianamente. Scappare dalla Siria significa rinunciare alla propria
tradizione, perché la Siria è una delle culle del cristianesimo. I cristiani si
chiedono: se noi scappiamo adesso, riusciremo mai a tornare? I profughi irakeni
non sono tornati.
E’ una discussione interna alle famiglie! Marito e moglie tra loro si chiedono:
abbandonare tutto e salvarsi o restare e rischiare?
D. Lorenzo R.: Cosa succederà?
R. Se cadesse Asad, il Paese cadrebbe in mano ai
fondamentalisti: sarebbe un pericolo anche per i paesi occidentali, che si
stanno tirando indietro. L’unica
soluzione possibile è quella di un dialogo.
Però i ribelli non vogliono trattare con Asad, ma in tutte le guerre la
trattativa si fa col nemico!
L’impossibilità di portare soccorso ha incrementato l’odio.
Si parla di colloqui di pace che dovrebbero tenersi a Ginevra.
D. Lorenzo R.: cos’è la guerra “di
usura”?
R. E’ una guerra tremenda,
in cui nessuno vince, in cui si aspetta soltanto che l’avversario si logori. Chi
sopporta tutto? I civili. Se le campagne sono controllate dai guerriglieri,
nelle città non arriva il cibo, i prezzi aumentano, tutti diventano più poveri.
Una guerra di usura può non finire mai!
D. Lorenzo M.: cosa si prova a
vedere morire un uomo?
R. La cosa peggiore del mio
mestiere è che sei assolutamente impotente. Spesso non sai neanche chi sia
quell’uomo che muore, non c’è nulla che tu possa fare. Puoi solo (Piatti: dire
una preghiera!) raccontare, per impedire che la guerra e la morte si diffondano come
unica via possibile.
PIATTI
Questo mestiere i giornalisti non lo fanno per sentirsi un po’ eroi, o
per provare un po’ di adrenalina. Io stesso sono preoccupato dalla capacità di rimbecillimento
che ha l’informazione che ci raggiunge. Ci fanno vedere un mondo che luccica,
svuotando la responsabilità che ciascuno di noi ha.
S. Paolo, dopo la conversione, per primo ha incontrato Anania. Anania
ha accolto un uomo che fino al momento prima gli avrebbe tagliato la testa! La
capacità di accoglienza e di perdono è parte di quel lavoro che vi invito a
fare ogni giorno.
Tenete presente che a vivere con i nostri standard, al mondo, siamo
una minoranza: un miliardo e 300.000 su sette miliardi! A vivere sotto la soglia
di povertà sono 1 miliardo e 350.000 persone. Non ce lo raccontano, ma il mondo
non è quello che vediamo in tv!
Bisogna avere un po’ di voglia di fare la rivoluzione, ma la
rivoluzione della propria vita!
D. Cosa sta facendo l’ONU per
la Siria?
R. PIATTI: Se non ci fosse
un tentativo di camera di conversazione sarebbe peggio. Detto questo, ci sono
ampi margini di miglioramento nel modo in cui si muove l’Onu.
R. MICALESSIN: Invece nel
caso della guerra siriana possiamo dire bene dell’Onu. La storia la fanno le
persone: come Brahimi, diplomatico algerino che è andato a fare il negoziato. Lui
ha vissuto sulla propria pelle il dramma della guerra civile (in Algeria ci fu
il primo grande scontro tra regime e ribelli). Proprio lui ha detto che i buoni
non stavano solo da una parte, e che i massacri li facevano da entrambe le
parti.
Eliminando Asad gli americani pensavano di offrire un contentino ad
Israele, cancellando il ruolo di ponte della Siria. Così nella vicenda siriana si
è seguita la linea Usa e Brahimi non è stato ascoltato. Ma in questo caso l’Onu
ha assolto il suo compito (poi ricordiamoci che nell’Onu gli Usa hanno diritto
di veto).
D. Andrea: Cosa possiamo
fare noi e le nostre famiglie?
R. PIATTI: Io ho un
concetto molto elastico di preghiera. Bisogna pregare in pensieri, parole, opere.
Evitare le omissioni! La prima cosa da fare è conoscer la realtà per quello che
è. Essere curiosi, non accontentarsi delle minestre riscaldate. Avere un’apertura
mentale, come Anania, per sapere incontrare e dialogare con tutti. Anania era
così sicuro di quello che aveva incontrato che ha accolto il nemico peggiore
dei cristiani!
R. MICALESSIN: Innanzitutto
osservare, non essere mai passivi. Spesso si legge con disattenzione. Leggete i
messaggi con attenzione: è possibile che in guerra ci siano tutti i buoni da
una parte e tutti i cattivi dall’altra? Quando leggete questa cosa non
credeteci, insospettitevi. In una guerra non esistono i buoni, perché la guerra
è cattiva, ti rende cattivo. Solitamente il più cattivo è quello che vince
perché uccide di più. Avsi opera in strutture piccole: io ho visto dove finiscono
i soldi di Avsi. State attenti anche nella carità. Lì il più piccolo spesso è
meglio! Ad esempio, impegnatevi a pagare l’autobus per questi ragazzi! Perché l’Unicef
non ci arriva. Fate la rivoluzione!
D. Riccardo: Le è mai
capitato di incontrare o parlare con un fondamentalista islamico che abbia
spiegato le sue ragioni?
R. Ne ho incontrati
tantissimi, diversi tra loro, ci sono anche quelli non violenti. E’ sempre la
persona che fa la differenza. Il fondamentalista ti dirà che la prima
differenza è lo scisma, e che Asad uccise i Fratelli Musulmani, da cui la
rivolta.
Poi c’è quello che combatte, che è convinto di uccidere in nome di
Dio. Lì non c’è più ragionamento, e quindi non c’è più dialogo. Per questo
bisogna evitare che abbiano il sopravvento i fondamentalisti islamici.
PIATTI: Molte persone usano
Dio come pretesto per uccidere: questi non sono fondamentalisti, sono
mercenari. Se uno è vero nel profondo delle sue domande, ci si incontra sempre.
Tutto il resto è strumentalizzazione.
PRESIDE: Ci si incontra
sulla verità. E la verità è una.
mercoledì 30 ottobre 2013
Rassegna stampa Siria
Centinaia di persone, riunite da un appello su Facebook, hanno sfilato contro il regime. Almeno 35 arresti, e scontri con manifestanti filogovernativi. Un video testimonia della manifestazione, raro esempio di dissenso nel Paese.
Damasco
(AsiaNews/Agenzie) – Onde remote della “rivoluzione dei gelsomini” hanno
raggiunto anche la Siria. A Damasco e ad Aleppo si sono svolte il 14 e il 16
marzo manifestazioni contro il regime di Bashar al-Assad. Un video mostra
circa duecento manifestanti, riuniti dopo la preghiera di mezzogiorno nel
quartiere centrale di al Hamidiya, vicino alla moschea Omayyade, la maggiore
moschea della città, l’ex cattedrale cristiana di san Giovanni Battista.
I
dimostranti sfilano battendo le mani e ritmando slogan come: “Dio, Siria,
libertà: ora basta”, e “Pacifici, pacifici”. Quest’ultimo slogan è un canto che
è risuonato più volte nelle scorse settimane durante le proteste che hanno
scosso il mondo islamico dal Marocco allo Yemen (http://www.youtube.com/watch?v=KVueUaPrUbQ&feature=player_embedded). La voce nel background recita:
“Questa è la prima manifestazione aperta contro il regime siriano…alawiti o
sunniti, tutti i generi di siriani, vogliamo abbattere il regime”.
La sicurezza
siriana, in borghese, è intervenuta in uno spazio di tempo molto breve,
disperdendo la manifestazione. Almeno 35 persone sono state arrestate, mentre
davanti al ministero degli Interni, chiedevano la liberazione di attivisti
anti-regime detenuti senza processo. Fra di loro un bambini di 10 anni, il professore
universitario Tayeb Tizini e un’attivista molto nota dei diritti umani, Suhair
Atassi, che è stata presa per i capelli e trascinata via.
Subito dopo
c’è stata una contromanifestazione a favore del regime. La manifestazione
pro-democrazia sembra essere stata organizzata da un gruppo nato su Facebook,
che si è definito “La rivoluzione siriana contro Assad 2011”.
Bashar
al-Assad è succeduto a suo padre come presidente nel 2000. Ha dichiarato
qualche settimana fa che non c’era la possibilità che le rivolte “dei
gelsomini” avvenissero nel Paese, che è governato dal partito Baath dal 1963.
Il
regime è considerato uno dei più repressivi del Medio Oriente. L’opposizione
politica è non ha praticamente spazio di manovra, i media sono strettamente
controllati, e nella società sono onnipresenti i “mukhabarat”, i servizi di
sicurezza. Di recente 13 prigionieri politici sono entrati in sciopero della
fame contro il regime di oppressione vigente nel Paese.
29/04/2011
14:54
SIRIA
Siria: patriarca melkita, timori di un futuro fatto solo di caos e fondamentalismi
di Bernardo Cervellera
SIRIA
Siria: patriarca melkita, timori di un futuro fatto solo di caos e fondamentalismi
di Bernardo Cervellera
Intervista con Gregorio III Laham, patriarca melkita di Damasco. Dubbi sull’identità di coloro che guidano le rivolte. Anche oggi manifestazioni e violenze in molte città. E’ il “Giorno dell’ira” e per la prima volta l’invito a scendere in piazza viene anche dai “Fratelli musulmani”.
Roma
(AsiaNews) - Le rivolte e le violenze in Siria sono una grande preoccupazione
per le Chiese cristiane del Paese. Anche oggi, “Giorno dell’ira”, nel quale per
la prima volta scendono in piazza i Fratelli musulmani, notizie di
manifestazioni e repressione, con morti e feriti giungono, oltre che da Deraa,
da Damasco, Latakia, Homs, Houran, Deir Zoour e altre città. C’è grande timore
per il futuro, che produca solo caos o governi fondamentalisti che lascino ai
cristiani solo la scelta di emigrare all’estero. È quanto Gregorio III Laham, patriarca melkita di Antiochia e di tutto
l’Oriente, ha detto quest’oggi ad AsiaNews.
Il patriarca
ha sottolineato la partecipazione dei cristiani al dolore e alle sofferenze
della popolazione. Per rispetto delle morti avvenute nelle ultime settimane -
almeno 500 da quando sono iniziate le manifestazioni anti-Assad - le feste di
Pasqua sono state celebrate senza musica o processioni, per rispetto del lutto.
Gregorio III esprime però dubbi sull’identità di coloro che guidano le rivolte
(criminali? Fondamentalisti? Jihadisti?) facendo crescere le preoccupazioni per
il futuro. Per il patriarca melkita occorre trovare la via per evitare una
rivoluzione violenta e fare progressi nella stabilità. Per questo Sua
Beatitudine ha scritto lettere a Paesi europei e delle Americhe perché
prevengano la caduta del Paese nel caos e si affrettino a risolvere il problema
israelo-palestinese, vera priorità per la pace in Medio oriente e nel mondo.
Beatitudine,
come vede da cristiano la situazione in Siria?
I movimenti
e le rivolte che stanno scuotendo la Siria preoccupano le Chiese e i cristiani.
Non tanto per il presente, ma per il futuro, per cosa ci aspetta. In passato,
dopo ogni rivolta in Medio oriente si è avuta una vasta emigrazione di
cristiani in Europa, America o Australia. Temo che anche adesso succederà la
stessa cosa, lasciando ancora più vuoto nelle comunità cristiane.
Alcune
personalità musulmane sono preoccupate anch’esse per un possibile svuotamento
dei cristiani in Siria. E chiedono che sia difesa la loro presenza.
Vi sono
stati problemi per le comunità cristiane?
Finora le
rivolte non hanno avuto nessun carattere confessionale, di conflitto
islamo-cristiano. Anzi, durante le manifestazioni a Homs, Aleppo e Damasco,
giovani musulmani si sono offerti per proteggere le chiese, costituendo cordoni
di sicurezza attorno agli edifici per prevenire gesti criminali.
Per
solidarietà agli uccisi negli scontri delle scorse settimane, i cristiani hanno
celebrato i riti della Settimana Santa e della Pasqua in modo molto sobrio,
senza processioni, musiche e feste, proprio per partecipare ai lutti della
popolazione.
Allo stesso
tempo stiamo cercando di avere un ruolo di mediatori nei contrasti che sono
emersi nella società siriana, perché la tensione non cresca fino
all’inevitabile. Personalmente ho inviato lettere a 15 Paesi europei, agli
Stati Uniti, e nelle Americhe domandando ai rispettivi governi di aiutare a
migliorare la situazione senza alcuna “rivoluzione” violenta.
Che idea ha
dei rivoltosi?
L’impressione
che abbiamo dall’interno è che sui problemi sociali ed economici si stanno
inserendo gruppi che fanno di tutto per provocare il governo a usare la
violenza. In tal modo si fa crescere la tensione fino a giungere a una condanna
da parte della comunità internazionale per attuare un cambiamento di regime
guidato dall’esterno. Tutta questa operazione ha degli aspetti di mistero: vi
sono criminali che partecipano alle manifestazioni; vi è introduzione massiccia
di armi nel Paese per provocare lo scontro….
Il futuro è
molto incerto e inoltre non si sa dove va a parare, non si sa chi siano. Certo,
vi sono giovani frustrati, ma molti dicono che fra loro ci sono criminali e
anche musulmani fondamentalisti che gridano al jihad. Per questo noi temiamo
che lasciando spazio alla violenza si provochi solo il caos. Penso che nei
confronti della Siria si stia usando la tattica di un guerra di usura.
Perché in
occidente vi è questa esaltazione verso la rivoluzione siriana e la pesante
accusa verso le violazioni ai diritti umani?
Vi sono
problemi politici e pressioni per scuotere gli equilibri del Medio oriente: le
alleanze con l’Iran [da parte della Siria –ndr], l’inquietudine di Israele… In
tutte le cose che accadono in Medio oriente, vi è sempre il legame con il
conflitto israelo-palestinese: crisi, guerre, emigrazione… Da 62 anni siamo in
questa situazione. Per questo ho mandato la lettera ai governi europei e
americani e li ho invitati di fare pressione sui loro governi perché il
problema israelo-palestinese sia affrontato come priorità: solo in questo modo
ci sarà meno emigrazione, meno terrorismo, meno fondamentalismo, meno violenza.
Questa è la
mia missione ed è quella che ho sottolineato anche al Sinodo dei
vescovi lo scorso ottobre e il papa lo ha apprezzato. La pace è importante
anche per l’avvenire del dialogo islamo-cristiano in Siria e nel mondo. Se la
crisi continua a far emigrare i cristiani, il mondo arabo diventa solo islamico
e si rischia un conflitto culturale fra mondo arabo-islamico e mondo
occidentale-cristiano.
La presenza
dei cristiani in Medio oriente salva l’arabità del Medio oriente per non
ridurlo a puro islamismo. Se la Siria viene aiutata a superare questa
situazione di caos, verso una stabilità garantita dal dialogo con la
popolazione, l’avvenire sarà migliore per tutti.
Il dominio
della famiglia Assad è una cosa positiva per la Siria?
In questi 40
anni la Siria ha fatto passi da gigante nell’agricoltura, nell’economia,
nell’educazione anche universitaria, generando molti posti di lavoro. C’è meno
sviluppo sull’aspetto socio-politico, ma la vita di tutti i giorni della gente
è migliorata in modo sensibile. Anche sulla libertà religiosa vi sono molti
progressi. Qualche mese fa ho potuto organizzare – con la sponsorizzazione del
governo – un incontro internazionale sui frutti del Sinodo del Medio oriente
(celebrato in Vaticano lo scorso ottobre), con la partecipazione di almeno 3500
personalità, quattro patriarchi, 13 Chiese.
Per quanto
riguarda le riforme politiche, dobbiamo ricordare che nel Medio oriente arabo,
oltre al Libano, non vi sono democrazie. Ci sono partiti, elezioni, ma i
governi cercano di controllare tutta la società. E questo in tante situazioni è
anche necessario.
23/05/2011
12:43
SIRIA
L’Europa “sanziona” Assad, la Siria sull’orlo della guerra civile
SIRIA
L’Europa “sanziona” Assad, la Siria sull’orlo della guerra civile
Oggi
l’Unione europea ha imposto sanzioni contro Assad, che da settimane non frena
la crescente violenza contro i manifestanti. Nei giorni scorsi ancora violenze
e morti. Presso il confine con il Libano esercito e milizie alawite attaccano e
uccidono i sunniti, che rispondono con le armi.
Damasco
(AsiaNews/Agenzie) – L’Unione europea ha imposto oggi sanzioni contro il
presidente siriano Bashar al-Assad, aumentando la pressione sul suo governo
perché fermi la crescente violenza contro la popolazione che manifesta da
settimane chiedendo cambiamenti democratici. Intanto migliaia di siriani
sunniti fuggono nel Libano settentrionale, per sfuggire violenze e scontri
armati.
I ministri
degli Esteri Ue in un incontro a Bruxelles (Belgio) hanno imposto restrizioni
ai viaggi di Assad in Europa e ne hanno “congelato” i beni. Per Assad sono
restrizioni più gravi di quelle analoghe adottate dagli Stati Uniti il 18
maggio, poiché egli ha studiato a Londra e la moglie ha la doppia cittadinanza
britannica e siriana. Già 2 settimane fa l’Ue ha imposto sanzioni a alti
esponenti del Paese, non includendo Assad nella speranza che potesse aiutare
una soluzione pacifica delle proteste.
Le sanzioni
sono state adottate dopo che il 21 maggio le forze di sicurezza siriane hanno
aperto il fuoco contro una processione funebre a Homs per le vittime tra i
dimostranti contro il governo: ci sono stati almeno 5 morti e 12 feriti. Nelle
10 settimane di proteste ci sono stati oltre 900 morti e esperti concordano che
il governo non vuole rinunciare alla violenza, nonostante le proteste e le
pressioni internazionali. I dimostranti dicono che i morti sono migliaia. Le
autorità hanno cacciato la maggior parte dei giornalisti esteri, rendendo così
impossibile una verifica indipendente. L’Organizzazione Nazionale per i Diritti
Umani in Siria parla di 44 morti solo venerdì 20 maggio, durante le
manifestazioni che avvengono ogni settimana dopo la funzione del giorno
festivo.
Ieri in
migliaia sono scesi in piazza a Damasco, per protestare contro il governo e
chiederne le dimissioni.
Assad ha
sempre preso le distanze dagli episodi di violenza delle forze dell’ordine e ha
dichiarato di volerli impedire, ma senza esito. Per questo Stati Uniti ed
Europa lo considerano un interlocutore sempre meno attendibile e non in grado
di gestire una pacifica transizione e ne chiedono le dimissioni. Il presidente
ha anche accusato “gruppi armati” sostenuti da estremisti islamici e da potenze
estere di avere aggredito e ucciso oltre 120 soldati e poliziotti.
La Siria, 22
milioni di abitanti, è sull’orlo di una vera guerra civile, perché l’esercito,
oltre ad attaccare le manifestazioni di protesta, va casa per casa per
arrestare gli oppositori al regime.
Lo scorso
fine settimana migliaia di siriani si sono rifugiati nel Libano settentrionale,
fuggendo da Tel Kalakh e da altri centri vicino al confine. I profughi
raccontano di violenze sistematiche dell’esercito, controllato dalla minoranza
degli alawiti, al potere nel Paese con Assad. Essi accusano l’esercito e gruppi
paramilitari alawiti, come la milizia Shabiha, di arresti e di uccisioni
“sommarie” contro i sunniti e di “distruggere le moschee” frequentate dai
sunniti, come la Omar bin Khattab. Dicono che i miliziani della Shabiha
uccidono chi incontrano per strada. Molti residenti hanno a loro volta
imbracciato le armi e ci sono vere sparatorie nell’abitato.
Al mercato
nero in Libano ci sono grandi vendite di armi, destinate in Siria.
03/08/2011 12:46
SIRIA
Rivolta in Siria: le violenze non fermano il popolo assetato di libertà e dignità
di Samir Khalil Samir
SIRIA
Rivolta in Siria: le violenze non fermano il popolo assetato di libertà e dignità
di Samir Khalil Samir
La
“primavera siriana” non pretendeva un cambio di regime. Ma dopo tutte le
violenze di questi mesi, Assad e il suo governo, con l’esercito e i mukhabarat,
sono ormai screditati. È tempo di agire e parlare, anche per le Chiese,
timorose di un’islamizzazione del Paese.
Beirut (AsiaNews) – Alla fine, dopo tutto quello che è successo tre giorni fa ad Hama, la più parte dei Paesi europei e gli Stati Uniti hanno avuto una reazione indignata. C’è voluto il massacro di oltre 100 persone indifese perché l’Occidente si risvegliasse: meglio tardi che mai. Speriamo soprattutto che questo cambiamento di politica arresti la violenza del potere siriano contro il proprio popolo. Di per sé, il 20 giugno scorso, il presidente Bachar al-Assad aveva finito per riconoscere la legittimità di alcune rivendicazioni; ma in seguito non vi sono state che promesse senza effetti, mentre continua la morte degli innocenti, che ormai si stimano a 2 mila, compresi quelli che hanno subito le torture.
Cosa succede in Siria e perché questa rivoluzione
Alcuni rispondono che tutto ciò sia fomentato dagli islamisti o dai Fratelli musulmani venuti dalla Giordania o da altrove, che approfittando del clima generale del mondo arabo, vogliono rovesciare il regime degli Assad e islamizzare il Paese. Questa lettura viene spesso sostenuta dai cristiani, che temono un cambiamento di regime, che potrebbe giocare contro di loro: la neutralità religiosa garantita dal presente regime li rassicura, anche se essi riconoscono che il regime non è per nulla rassicurante. Ma questo sarebbe un male minore.
Altri accusano Israele di fomentare i disordini. È la classica teoria del “complotto israelo- americano”, cara a molti perché comoda e semplicista. E si dimentica che la Siria è nemica di Israele solo a parole, e che nella realtà è il suo alleato più solido: da circa 40 anni, Damasco non ha mai fatto nulla per recuperare il Golan, requisito da Israele. I due incidenti del 15 maggio (commemorazione della guerra del 1948) e del 6 giugno (commemorazione della guerra del 1967), due sconfitte cocenti dei palestinesi, dove alcuni palestinesi sono stati uccisi perché entravano nel Golan, non hanno suscitato alcuna reazione da parte dello Stato siriano!
In realtà, la maggioranza del popolo siriano – eccetto quelli che approfittano del regime – non ne possono più. Sono stanchi di vedere messe da parte le loro rivendicazioni e oppressi i loro diritti più elementari, come la libertà di espressione.
Incoraggiati dagli avvenimenti in Tunisia ed Egitto, le folle siriane sono scese in strada per reclamare questi diritti. A differenza di quei due Paesi – dove i governanti erano in pratica degli approfittatori – esse si sono trovate di fronte a responsabili crudeli, malvagi e abili. L’esercito che in Egitto ha protetto i manifestanti, in Siria li ha attaccati. Nel Paese domina un solo partito, il Baath (in realtà un partito fantoccio perché chi domina è la famiglia Assad e i suoi alleati). Non vi è alcun a opposizione e alcuna stampa indipendente. In più, dal 1982 (massacro dei Fratelli musulmani ad Hama), il controllo del Paese è stato sottomesso ai servizi segreti.
Nel luglio 2000, all’arrivo di Bachar el-Assad, è sembrato spirare un vento nuovo sulla Siria, con il riformarsi di gruppi politici. Ma nel settembre 2001 tutto è ricaduto nel passato: i principali animatori di tali movimento sono stati condannati a 5 anni di prigione e uno di loro a 10 anni. Diversi tentativi di riorganizzare l’opposizione vengono abortiti. Nuova speranza nel 2005, quando l’opposizione propone una riforma progressiva. Ma nel dicembre 2007 i capi del movimento sono arrestati e condannati a due anni e mezzo di prigione. Allo stesso tempo sono condannati tutti coloro che propongono una revisione delle relazioni con il Libano. E vengono incarcerati i difensori dei diritti umani, quali Anwar al-Bunni, Mohannad al-Hasani e Haythan al-Maleh
I Mukhābarāt e la corruzione
Dagli anni ’80 i Mukhābarāt sono l’organizzazione più potente. Essi si legano ai ricchi e ai potenti per vivere a loro seguito. Minacciano piccoli e grandi per trarre profitto con piccoli e grandi benefici, terrorizzando la popolazione e vivendo come parassiti. Nessuna categoria viene risparmiata; nessun passo può essere fatto senza il loro accordo e senza il loro ritagliarsi un profitto. Hafez el-Assad li ha mantenuti la potere perché essi non lo minacciavano e gli obbedivano. Nel 2005, suo figlio Bachar, dato lo scontento crescente della popolazione, ha cercato di contenerli. Ma i Mukhābarāt continuano nonostante tutto ad agire allo stesso modo, sfruttando e minacciando tutti. Ormai essi sono divenuti un gruppo di tipo mafioso, che non esita a utilizzare brutalità e violenze, per non parlare delle umiliazioni. Tutti rischiano la prigione, senza una reale possibilità di difendersi.
Quanto praticato dai Mukhābarāt è praticato anche dalla polizia e dall’esercito. I doganieri approfittano del loro potere – per quanto limitato – per ottenere piccoli vantaggi. Un esempio: tutte le volte che attraversavo i vari controlli al confine libano-siriano, i doganieri di servizio ci domandavano un pacco di pane, o un cespo di banane. I militari approfittano del loro potere per ottenere vantaggi, o fanno lavorare le truppe più giovani per i propri interessi personali o quelli della propria famiglia.
Anche i medici sfruttano la situazione per vendere le medicine costose sul mercato e dare ai pazienti delle medicine più scadenti. In pratica, ogni persona che abbia autorità, ogni funzionario anche di basso livello, abusa del suo potere per arrotondare il suo salario o migliorare le sue condizioni. Ed è così che la corruzione è divenuta una moneta corrente e generalizzata in Siria.
Da decenni il popolo ha sete di dignità
Nel contesto generale di crescente malessere, la rivolta è scoppiata prima in Tunisia e poi in Egitto, portando alla caduta dei due presidenti. I siriani non domandavano tanto. A loro bastava un po’ più di giustizia, meno brutalità, più libertà, ma non mettevano in discussione il regime, né domandavano la caduta del presidente.
Purtroppo, né Bachar el-Assad, né i suoi consiglieri hanno capito cosa stava succedendo. Essi hanno reagito come d’abitudine con la forza e la violenza. Ma questa volta il popolo non ha ceduto: era troppo!
A Daraa, nel sud, dove è partita la rivolta, alcuni adolescenti hanno scritto sui muri degli slogan contro il Baath. Sono stati imprigionati, battuti e torturati: bruciati con sigarette nelle parti intime, le unghie strappate. Uno di loro, Hamza Ali al-Khateeb, 13 anni, è stato rimandato morto ai genitori, col sesso mutilato (v. il video del 25 marzo 2011). Tamer Mohammed al-Sharey, un altro ragazzo di 14 anni, è stato trovato dalla madre l’8 giugno scorso, morto dopo aver subito torture. Per il popolo questi sono dei “martiri” che non saranno mai dimenticati.
Altri sono stati arrestati anche se non avevano manifestato, rinchiusi in un ospedale militare, lasciati per giorni nudi e con gli occhi bendati, senza cibo e puniti con battiture. Un ex funzionario dei servizi segreti siriani, emigrato negli Usa, vedendo quel che succedeva, ha commentato: “Lo fanno per il piacere della tortura!”. Si stima che finora più di 10mila persone sono state arrestate e brutalizzate. Ormai in Siria i casi di arresto e di tortura sono divenuti quasi una banalità.
Il regime ha cercato di lavorare nella segretezza: ha proibito la presenza di giornalisti stranieri nel Paese; ha vietato ai diplomatici di allontanarsi da Damasco; ha bloccato telefono e altri mezzi di comunicazione. Nonostante ciò, ormai oggi è impossibile mantenere il segreto assoluto e prima o poi, grazie a internet e ad altri mezzi di comunicazione, tutto viene alla luce.
La rivolta non può essere bloccata nemmeno dalla violenza: molta gente è pronta a morire piuttosto che a mantenere questo regime. Lo scorso 25 luglio è stata approvata una legge che autorizza la reazione di nuovi partiti politici. Ma ciò non interessa più nessuno e nessuno ci crede. Secondo i manifestanti i partiti che nasceranno saranno solo dei partiti-fantoccio e tutto continuerà come prima.
Il regime è ormai screditato e non si può più accontentare il popolo siriano con delle promesse o con delle nuove leggi. Il popolo vuole stabilire da sé le proprie leggi, ritrovando la dignità dell’essere cittadini. E reclama azioni concrete: anzitutto liberare le decine di migliaia di prigionieri politici; ritirare l’esercito; strappare ogni potere ai mukhābarāt; arrestare i franchi tiratori e altri malfattori. Ogni giorno che passa non fa che aggravare la situazione. Questo popolo non è rivoluzionario: esso reclama giustizia, libertà, dignità ancora prima del pane.
Il governo e il suo presidente sapranno accordare loro questi diritti legittimi e fermare ogni repressione e violenza?
Le Chiese e i cristiani sapranno essere artigiani di pace e di non violenza, di fare delle opzioni coraggiose e difficili, testimoniando diritto e giustizia? Penso che tutti, governanti e popolo, abbiano bisogno del nostro sostegno e non del nostro silenzio.
Beirut (AsiaNews) – Alla fine, dopo tutto quello che è successo tre giorni fa ad Hama, la più parte dei Paesi europei e gli Stati Uniti hanno avuto una reazione indignata. C’è voluto il massacro di oltre 100 persone indifese perché l’Occidente si risvegliasse: meglio tardi che mai. Speriamo soprattutto che questo cambiamento di politica arresti la violenza del potere siriano contro il proprio popolo. Di per sé, il 20 giugno scorso, il presidente Bachar al-Assad aveva finito per riconoscere la legittimità di alcune rivendicazioni; ma in seguito non vi sono state che promesse senza effetti, mentre continua la morte degli innocenti, che ormai si stimano a 2 mila, compresi quelli che hanno subito le torture.
Cosa succede in Siria e perché questa rivoluzione
Alcuni rispondono che tutto ciò sia fomentato dagli islamisti o dai Fratelli musulmani venuti dalla Giordania o da altrove, che approfittando del clima generale del mondo arabo, vogliono rovesciare il regime degli Assad e islamizzare il Paese. Questa lettura viene spesso sostenuta dai cristiani, che temono un cambiamento di regime, che potrebbe giocare contro di loro: la neutralità religiosa garantita dal presente regime li rassicura, anche se essi riconoscono che il regime non è per nulla rassicurante. Ma questo sarebbe un male minore.
Altri accusano Israele di fomentare i disordini. È la classica teoria del “complotto israelo- americano”, cara a molti perché comoda e semplicista. E si dimentica che la Siria è nemica di Israele solo a parole, e che nella realtà è il suo alleato più solido: da circa 40 anni, Damasco non ha mai fatto nulla per recuperare il Golan, requisito da Israele. I due incidenti del 15 maggio (commemorazione della guerra del 1948) e del 6 giugno (commemorazione della guerra del 1967), due sconfitte cocenti dei palestinesi, dove alcuni palestinesi sono stati uccisi perché entravano nel Golan, non hanno suscitato alcuna reazione da parte dello Stato siriano!
In realtà, la maggioranza del popolo siriano – eccetto quelli che approfittano del regime – non ne possono più. Sono stanchi di vedere messe da parte le loro rivendicazioni e oppressi i loro diritti più elementari, come la libertà di espressione.
Incoraggiati dagli avvenimenti in Tunisia ed Egitto, le folle siriane sono scese in strada per reclamare questi diritti. A differenza di quei due Paesi – dove i governanti erano in pratica degli approfittatori – esse si sono trovate di fronte a responsabili crudeli, malvagi e abili. L’esercito che in Egitto ha protetto i manifestanti, in Siria li ha attaccati. Nel Paese domina un solo partito, il Baath (in realtà un partito fantoccio perché chi domina è la famiglia Assad e i suoi alleati). Non vi è alcun a opposizione e alcuna stampa indipendente. In più, dal 1982 (massacro dei Fratelli musulmani ad Hama), il controllo del Paese è stato sottomesso ai servizi segreti.
Nel luglio 2000, all’arrivo di Bachar el-Assad, è sembrato spirare un vento nuovo sulla Siria, con il riformarsi di gruppi politici. Ma nel settembre 2001 tutto è ricaduto nel passato: i principali animatori di tali movimento sono stati condannati a 5 anni di prigione e uno di loro a 10 anni. Diversi tentativi di riorganizzare l’opposizione vengono abortiti. Nuova speranza nel 2005, quando l’opposizione propone una riforma progressiva. Ma nel dicembre 2007 i capi del movimento sono arrestati e condannati a due anni e mezzo di prigione. Allo stesso tempo sono condannati tutti coloro che propongono una revisione delle relazioni con il Libano. E vengono incarcerati i difensori dei diritti umani, quali Anwar al-Bunni, Mohannad al-Hasani e Haythan al-Maleh
I Mukhābarāt e la corruzione
Dagli anni ’80 i Mukhābarāt sono l’organizzazione più potente. Essi si legano ai ricchi e ai potenti per vivere a loro seguito. Minacciano piccoli e grandi per trarre profitto con piccoli e grandi benefici, terrorizzando la popolazione e vivendo come parassiti. Nessuna categoria viene risparmiata; nessun passo può essere fatto senza il loro accordo e senza il loro ritagliarsi un profitto. Hafez el-Assad li ha mantenuti la potere perché essi non lo minacciavano e gli obbedivano. Nel 2005, suo figlio Bachar, dato lo scontento crescente della popolazione, ha cercato di contenerli. Ma i Mukhābarāt continuano nonostante tutto ad agire allo stesso modo, sfruttando e minacciando tutti. Ormai essi sono divenuti un gruppo di tipo mafioso, che non esita a utilizzare brutalità e violenze, per non parlare delle umiliazioni. Tutti rischiano la prigione, senza una reale possibilità di difendersi.
Quanto praticato dai Mukhābarāt è praticato anche dalla polizia e dall’esercito. I doganieri approfittano del loro potere – per quanto limitato – per ottenere piccoli vantaggi. Un esempio: tutte le volte che attraversavo i vari controlli al confine libano-siriano, i doganieri di servizio ci domandavano un pacco di pane, o un cespo di banane. I militari approfittano del loro potere per ottenere vantaggi, o fanno lavorare le truppe più giovani per i propri interessi personali o quelli della propria famiglia.
Anche i medici sfruttano la situazione per vendere le medicine costose sul mercato e dare ai pazienti delle medicine più scadenti. In pratica, ogni persona che abbia autorità, ogni funzionario anche di basso livello, abusa del suo potere per arrotondare il suo salario o migliorare le sue condizioni. Ed è così che la corruzione è divenuta una moneta corrente e generalizzata in Siria.
Da decenni il popolo ha sete di dignità
Nel contesto generale di crescente malessere, la rivolta è scoppiata prima in Tunisia e poi in Egitto, portando alla caduta dei due presidenti. I siriani non domandavano tanto. A loro bastava un po’ più di giustizia, meno brutalità, più libertà, ma non mettevano in discussione il regime, né domandavano la caduta del presidente.
Purtroppo, né Bachar el-Assad, né i suoi consiglieri hanno capito cosa stava succedendo. Essi hanno reagito come d’abitudine con la forza e la violenza. Ma questa volta il popolo non ha ceduto: era troppo!
A Daraa, nel sud, dove è partita la rivolta, alcuni adolescenti hanno scritto sui muri degli slogan contro il Baath. Sono stati imprigionati, battuti e torturati: bruciati con sigarette nelle parti intime, le unghie strappate. Uno di loro, Hamza Ali al-Khateeb, 13 anni, è stato rimandato morto ai genitori, col sesso mutilato (v. il video del 25 marzo 2011). Tamer Mohammed al-Sharey, un altro ragazzo di 14 anni, è stato trovato dalla madre l’8 giugno scorso, morto dopo aver subito torture. Per il popolo questi sono dei “martiri” che non saranno mai dimenticati.
Altri sono stati arrestati anche se non avevano manifestato, rinchiusi in un ospedale militare, lasciati per giorni nudi e con gli occhi bendati, senza cibo e puniti con battiture. Un ex funzionario dei servizi segreti siriani, emigrato negli Usa, vedendo quel che succedeva, ha commentato: “Lo fanno per il piacere della tortura!”. Si stima che finora più di 10mila persone sono state arrestate e brutalizzate. Ormai in Siria i casi di arresto e di tortura sono divenuti quasi una banalità.
Il regime ha cercato di lavorare nella segretezza: ha proibito la presenza di giornalisti stranieri nel Paese; ha vietato ai diplomatici di allontanarsi da Damasco; ha bloccato telefono e altri mezzi di comunicazione. Nonostante ciò, ormai oggi è impossibile mantenere il segreto assoluto e prima o poi, grazie a internet e ad altri mezzi di comunicazione, tutto viene alla luce.
La rivolta non può essere bloccata nemmeno dalla violenza: molta gente è pronta a morire piuttosto che a mantenere questo regime. Lo scorso 25 luglio è stata approvata una legge che autorizza la reazione di nuovi partiti politici. Ma ciò non interessa più nessuno e nessuno ci crede. Secondo i manifestanti i partiti che nasceranno saranno solo dei partiti-fantoccio e tutto continuerà come prima.
Il regime è ormai screditato e non si può più accontentare il popolo siriano con delle promesse o con delle nuove leggi. Il popolo vuole stabilire da sé le proprie leggi, ritrovando la dignità dell’essere cittadini. E reclama azioni concrete: anzitutto liberare le decine di migliaia di prigionieri politici; ritirare l’esercito; strappare ogni potere ai mukhābarāt; arrestare i franchi tiratori e altri malfattori. Ogni giorno che passa non fa che aggravare la situazione. Questo popolo non è rivoluzionario: esso reclama giustizia, libertà, dignità ancora prima del pane.
Il governo e il suo presidente sapranno accordare loro questi diritti legittimi e fermare ogni repressione e violenza?
Le Chiese e i cristiani sapranno essere artigiani di pace e di non violenza, di fare delle opzioni coraggiose e difficili, testimoniando diritto e giustizia? Penso che tutti, governanti e popolo, abbiano bisogno del nostro sostegno e non del nostro silenzio.
15/03/2012
12:53
SIRIA
Damasco, un anno di rivolte. I cristiani nel Paese diviso
di Nabil Hourani*
SIRIA
Damasco, un anno di rivolte. I cristiani nel Paese diviso
di Nabil Hourani*
L'Iran porta
"aiuti sanitari" a Damasco. Arabia saudita e Qatar vorrebbero armare
i ribelli. Ma intanto il Paese è sbriciolato. Un testimone, sacerdote
cattolico, racconta l'odio e la paura che cresce fra le comunità, ma anche i
segnali di collaborazione fra cristiani e musulmani nell'aiutare i colpiti. Le
Chiese divise fra un appoggio cieco ad Assad e un'opposizione non violenta per
far maturare uno Stato di diritto, dove cristiani e musulmani sono uguali
davanti alla legge.
Damasco
(AsiaNews) - Il 15 marzo di un anno fa le strade di Damasco si sono
affollate per esigere anche in Siria i cambiamenti che la "primavera
araba" stava portando in Nord Africa e nel Medio oriente. Giorni
dopo a Deraa vi sono state proteste per la tortura e l'uccisione di alcuni
bambini, colpevoli di aver scritto sui muri slogan anti-Assad. Da lì è iniziato
il confronto sempre più duro fra l'esercito e molta parte della popolazione in
varie città della Siria, fino al bombardamento durato un mese della città di
Homs. Dopo un anno di proteste, la Siria è profondamente divisa da violenze
molto vicine alla guerra civile. Perfino l'opposizione è sbriciolata in
militari disertori, gruppi politici all'estero, gruppi politici all'interno. Il
governo di Assad attua un disegno spietato contro tutti, mentre offre
correzioni attraverso un referendum costituzionale e il lancio di nuove
elezioni. Intanto i morti, secondo l'Onu sono almeno 8500 e sono migliaia i
profughi in Turchia e in Libano. Il problema è pure che la Siria è divenuto un
caso internazionale, uno scacchiere su cui combattono diversi interlocutori i
cui interessi poco hanno a che fare con i bisogni della popolazione.
L'Iran difende a spada tratta il suo alleato e oggi ha fatto giungere al
governo degli "aiuti sanitari" attraverso la Croce rossa siriana.
Arabia saudita e Qatar vogliono il cambiamento di regime e il contenimento
dell'influenza iraniana e per questo sono pronti ad armare i ribelli. Il
Consiglio di sicurezza dell'Onu è diviso, con Russia e Cina che appoggiano
Assad per frenare l'influenza degli Stati Uniti nella regione. I cristiani,
talvolta timorosi di fronte al regime, temono la sua caduta, che verrebbe
sostituita da un governo fondamentalista islamico. Ciò non toglie che molti di
loro, pur non imbracciando le armi, sostengono una trasformazione non violenta
della società siriana. La testimonianza che presentiamo sotto, mostra che
proprio la divisione e le ferite della popolazione è il nuovo campo di missione
della Chiesa in Siria. Per ragioni di sicurezza, l'autore viene designato con
uno pseudonimo.
26/08/2013
11:44
SIRIA - ONU
Siria, l'Onu lancia l'inchiesta sulle armi chimiche. La comunità internazionale si spacca
SIRIA - ONU
Siria, l'Onu lancia l'inchiesta sulle armi chimiche. La comunità internazionale si spacca
Il team di
esperti è entrato oggi a Ghouta, a nord di Damasco, per verificare l'uso di gas
nervino sui civili. Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Turchia si preparano
a un'azione militare anche senza il benestare dell'Onu. Mosca ricorda ai Paesi
anti-Assad "gli errori commessi in Iraq".
Damasco
(AsiaNews/ Agenzie) - Il governo siriano ha concesso all'Onu di investigare sul
presunto utilizzo di armi chimiche contro la popolazione civile. Anche i
ribelli hanno offerto piena disponibilità agli esperti delle Nazioni Unite. E
oggi il team del Palazzo di Vetro ha aperto un'inchiesta ufficiale, mentre la
comunità internazionale si spacca sul futuro del conflitto.
Ieri Walid
Muallem, ministro degli Esteri siriano, ha affermato "che la Siria è
pronta a collaborare con gli ispettori Onu per dimostrare che le accuse mosse
dai gruppi terroristi (ribelli)...sono menzogne". Secondo l'opposizione
l'attacco avvenuto nei giorni scorsi a Ghouta, quartiere a nord di Damasco, è
costato la vita a 1300 persone. L'uso di agenti neurochimici è confermato anche
da Medici senza frontiere, che in tre ospedali di Damasco avrebbe trovato tracce
di agenti su 3.600 ricoverati, di questi 355 sono morti.
Tuttavia le
aperture del governo di Damasco non cambiano la posizione della comunità
internazionale su un eventuale intervento militare in Siria, fatta eccezione
per i grandi alleati del regime Russia e Iran. Finora gli unici appelli alla
riconciliazione e alla fine delle ostilità giungono dal Vaticano. Ieri, il papa
ha sollecitato tutti i Paesi coinvolti perché in Siria cessi "il rumore
delle armi e si lavori per la pace attraverso l'incontro e il dialogo che
fermino questa guerra fra fratelli".
Nonostante
l'ennesimo appello di papa Francesco, la linea comune dell'occidente e dei suoi
alleati resta ancora quella dello scontro armato. Ieri Chuck Hagel, segretario
alla Difesa statunitense, ha affermato che l'esercito americano "è pronto
a rispondere a qualsiasi cambio di scenario" ma, per l'intelligence, il
governo sta ancora valutando le sue mosse. Per un intervento armato è anche
Francois Hollande, presidente francese, secondo cui "non vi sono dubbi che
quanto accaduto il 21 agosto è un attacco di natura chimiche e le prove
raccolte finora dimostrano che il regime siriano è il principale responsabile
di questo atto inqualificabile".
La posizione
più dura è quella della Turchia. Ieri, in un'intervista al quotidiano turco Milliyet,
Ahmet Davutoglu, ministro degli Esteri turco, ha sottolineato: "La
Turchia parteciperà a qualsiasi azione contro il regime di Assad, con o
senza il benestare dell'Onu".
Mentre
Barack Obama, presidente degli Stati Uniti, e il premier britannico Cameron
discutono sul da farsi, il quotidiano londinese Telegraph svela alcuni
rapporti secondo i quali la Marina britannica si starebbe preparando a una
possibile serie di attacchi missilistici.
Sul fronte
opposto Mosca invita gli Stati Uniti e i loro alleati a riflettere. Nei giorni
scorsi, in un comunicato, il ministero degli Esteri russo ha commentato le voci
di un intervento armato "ricordando gli eventi accaduti 10 anni fa in
Iraq, quando gli Stati Uniti hanno utilizzato informazioni false su armi di
distruzioni massa in mano a Saddam Hussein, per scavalcare le Nazioni Unite,
avviando un'escalation le cui conseguenze sono note a tutti". La posizione
della Russia è condivisa dall'Iran, che contrattacca. Attraverso Massoud Jazayeri,
vice capo di Stato maggiore, la Repubblica islamica lancia una minaccia agli
Stati Uniti: "Se Washington attraverserà la linea rossa, ci saranno gravi
conseguenze per la Casa Bianca".
Sunniti e Sciiti
SUNNITI
E SCIITI
Soprattutto negli
ultimi mesi, ma in generale quasi sempre quando si parla di cosa succede in
Medio Oriente, si discute della rivalità e degli scontri tra sciiti e sunniti,
i due principali rami dell’Islam. La questione è diventata di grande interesse
per la stampa occidentale soprattutto da quando è iniziata la cosiddetta
“primavera araba” nei paesi mediorientali e nordafricani, che ha visto spesso
uno dei due rami dell’Islam contrapporsi all’altro per la conquista del potere.
Ancora oggi se ne
sta parlando per la situazione molto instabile dell’Iraq, per esempio, e ancora
di più per quello che sta succedendo in Siria. Da diverso tempo la guerra
siriana si è trasformata da “primavera araba” di carattere nazionale – come lo
era nei primi mesi della rivoluzione – a scontro regionale che si combatte
sulla linea di divisione sciiti-sunniti: il regime del presidente siriano
Bashar al Assad, che fa parte della setta degli alawiti, affiliati agli sciiti,
è sostenuto dall’Iran e da Hezbollah, entrambi sciiti; i ribelli siriani, che
sono sunniti, sono sostenuti dai paesi del Golfo, tutti governati dai sunniti
tranne l’Iraq, e da gruppi jihadisti anch’essi sunniti. Questo è il risultato
di una lunga rivalità, sia religiosa che politica, iniziata nel 632 d.c. e
proseguita e intensificata nei secoli successivi.
Le divisioni tra sciiti e sunniti risalgono alla morte del fondatore dell’Islam, il profeta Maometto, nel 632 d.c.: la maggioranza di coloro che credono nell’Islam, che oggi noi conosciamo come sunniti e che sono circa l’80 per cento di tutti i musulmani, pensavano che l’eredità religiosa e politica di Maometto dovesse andare ad Abu Bakr, amico e padre della moglie di Maometto. C’era poi una minoranza, oggi la minoranza sciita, che credeva che il successore dovesse essere un consanguineo del profeta: questo gruppo diceva che Maometto aveva consacrato come suo successore Ali, suo cugino e genero.
Il gruppo che riuscì
a imporsi fu quello dei sunniti, anche se Ali governò per un periodo come
quarto califfo, il titolo attribuito ai successori di Maometto. La divisione
tra i due rami dell’Islam divenne ancora più forte nel 680 d.c., quando il
figlio di Ali Hussein fu ucciso a Karbala, città del moderno Iraq, dai soldati
del governo del califfo sunnita. Da quel momento i governanti sunniti
continuarono a monopolizzare il potere politico, mentre gli sciiti facevano
riferimento al loro imam, i primi 12 dei quali erano discendenti diretti di
Ali.
Con il passare degli
anni le differenze tra i due gruppi sono aumentate e oggi ci sono alcune cose
condivise e altre dibattute. Tutti i musulmani sono d’accordo che Allah sia
l’unico dio, che Maometto sia il suo messaggero, e che ci siano cinque pilastri
rituali dell’Islam, tra cui il Ramadan, il mese di digiuno, e il Corano, il
libro sacro. Mentre però i sunniti si basano molto sulla pratica del profeta e
sui suoi insegnamenti (la “sunna”), gli sciiti vedono le figure religiose degli
ayatollah come riflessi di dio sulla terra, e credono che il dodicesimo e
ultimo imam discendente da Maometto sia nascosto e un giorno riapparirà per
compiere la volontà divina (questo è il motivo per cui, tra l’altro, il
presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad in molte riunioni di governo lascia una sedia vuota accanto a sé: per
aspettare il ritorno del Mahdi, l’imam nascosto).
Questa differenza ha
portato i sunniti ad accusare gli sciiti di eresia, e gli sciiti ad accusare i
sunniti di avere dato vita a sette estreme, come gli wahabiti più
intransigenti: tuttavia le due sette dell’Islam non hanno mai dato vita a una
guerra delle dimensioni ad esempio della Guerra dei Trent’anni, che tra il 1618
e il 1648 mise le diverse sette cristiane una contro l’altra in Europa.
La rivalità tra sciiti e sunniti è scoppiata a livello politico a partire dalla rivoluzione khomeinista in Iran del 1979, che ha portato alla cacciata dello scià iraniano, che fino a quel momento era stato tra le altre cose anche filo-americano, e all’instaurazione di una teocrazia islamica, sciita, in forte contrapposizione con tutti i paesi governati dai sunniti nel Golfo Persico. Dal 1979 le alleanze nella regione si modificarono, e i cambiamenti furono notevoli e con grandi conseguenze: si rafforzò l’inimicizia dei sunniti contro la cosiddetta “mezzaluna sciita”, che dall’Iran passa al regime alawita di Assad in Siria e arriva fino a Hezbollah in Libano.
Questa divisione si
sta realizzando concretamente in diversi paesi del Medio Oriente. In Iraq, per
esempio, ci sono ogni giorno attentati di natura settaria che provocano la
morte di decine di persone: nelle ultime settimane la violenza nel paese è
aumentata, ma è da diversi anni che gli scontri tra iracheni sunniti e governo
sciita vanno avanti, più per ragioni politiche di controllo del potere che per
ragioni ideologiche. I paesi che dal 1979 stanno guidando i due fronti
dell’Islam, l’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita, sono entrati da diverso
tempo nella guerra siriana: la prima finanziando i ribelli sunniti, il secondo
mandando dei propri uomini della Guardia Rivoluzionaria e i combattenti di
Hezbollah a combattere in alcune zone della Siria.
Le conseguenze di
quella che è stata definita da più parti come “regionalizzazione” della guerra siriana
sono già molto visibili: la violenza del conflitto ha raggiunto livelli
altissimi e ci sono sempre più testimonianze di brutalità e violazioni gravi
dei diritti umani che ogni giorno vengono compiute in Siria. Il recente
coinvolgimento di Hezbollah, confermato per la prima volta qualche
giorno fa dal leader del movimento Hassan Nasrallah, ha radicalizzato ancora
più lo scontro e ha permesso al fronte di Assad di recuperare molti villaggi e
città nella zona della Siria che oggi viene considerata più importante dal punto di vista
strategico: quella a nord del confine con il Libano, che dalla capitale siriana
Damasco porta alla costa occidentale del paese.
Siria – Cronologia essenziale
Fine IV secolo a.C.: ellenizzazione sotto la dinastia greca dei
Seleucidi
64 a.C.: conquista romana da parte di Pompeo > la Siria
diviene parte dell’Impero romano e successivamente dell’Impero romano d’Oriente
VII secolo: conquista araba
1517-1920: diviene parte dell’Impero ottomano
1920-1946: sottoposta a un Mandato francese
1 gennaio 1946: indipendenza
> instabilità (13 colpi di stato)
1963: il partito panarabo Ba’th prende il potere con un
colpo di stato
1966: il Ba’th abbandona la linea panaraba per una linea
socialista e filo-sovietica
1970: dopo un colpo di stato interno al Ba’th, Hafiz
al-Asad prende la guida del paese
2000: gli succede il figlio Bashar al-Asad.
2011: scoppiano sommosse popolari contro
il regime di Asad nel contesto della “primavera araba”.
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