SUNNITI
E SCIITI
Soprattutto negli
ultimi mesi, ma in generale quasi sempre quando si parla di cosa succede in
Medio Oriente, si discute della rivalità e degli scontri tra sciiti e sunniti,
i due principali rami dell’Islam. La questione è diventata di grande interesse
per la stampa occidentale soprattutto da quando è iniziata la cosiddetta
“primavera araba” nei paesi mediorientali e nordafricani, che ha visto spesso
uno dei due rami dell’Islam contrapporsi all’altro per la conquista del potere.
Ancora oggi se ne
sta parlando per la situazione molto instabile dell’Iraq, per esempio, e ancora
di più per quello che sta succedendo in Siria. Da diverso tempo la guerra
siriana si è trasformata da “primavera araba” di carattere nazionale – come lo
era nei primi mesi della rivoluzione – a scontro regionale che si combatte
sulla linea di divisione sciiti-sunniti: il regime del presidente siriano
Bashar al Assad, che fa parte della setta degli alawiti, affiliati agli sciiti,
è sostenuto dall’Iran e da Hezbollah, entrambi sciiti; i ribelli siriani, che
sono sunniti, sono sostenuti dai paesi del Golfo, tutti governati dai sunniti
tranne l’Iraq, e da gruppi jihadisti anch’essi sunniti. Questo è il risultato
di una lunga rivalità, sia religiosa che politica, iniziata nel 632 d.c. e
proseguita e intensificata nei secoli successivi.
Le divisioni tra sciiti e sunniti risalgono alla morte del fondatore dell’Islam, il profeta Maometto, nel 632 d.c.: la maggioranza di coloro che credono nell’Islam, che oggi noi conosciamo come sunniti e che sono circa l’80 per cento di tutti i musulmani, pensavano che l’eredità religiosa e politica di Maometto dovesse andare ad Abu Bakr, amico e padre della moglie di Maometto. C’era poi una minoranza, oggi la minoranza sciita, che credeva che il successore dovesse essere un consanguineo del profeta: questo gruppo diceva che Maometto aveva consacrato come suo successore Ali, suo cugino e genero.
Il gruppo che riuscì
a imporsi fu quello dei sunniti, anche se Ali governò per un periodo come
quarto califfo, il titolo attribuito ai successori di Maometto. La divisione
tra i due rami dell’Islam divenne ancora più forte nel 680 d.c., quando il
figlio di Ali Hussein fu ucciso a Karbala, città del moderno Iraq, dai soldati
del governo del califfo sunnita. Da quel momento i governanti sunniti
continuarono a monopolizzare il potere politico, mentre gli sciiti facevano
riferimento al loro imam, i primi 12 dei quali erano discendenti diretti di
Ali.
Con il passare degli
anni le differenze tra i due gruppi sono aumentate e oggi ci sono alcune cose
condivise e altre dibattute. Tutti i musulmani sono d’accordo che Allah sia
l’unico dio, che Maometto sia il suo messaggero, e che ci siano cinque pilastri
rituali dell’Islam, tra cui il Ramadan, il mese di digiuno, e il Corano, il
libro sacro. Mentre però i sunniti si basano molto sulla pratica del profeta e
sui suoi insegnamenti (la “sunna”), gli sciiti vedono le figure religiose degli
ayatollah come riflessi di dio sulla terra, e credono che il dodicesimo e
ultimo imam discendente da Maometto sia nascosto e un giorno riapparirà per
compiere la volontà divina (questo è il motivo per cui, tra l’altro, il
presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad in molte riunioni di governo lascia una sedia vuota accanto a sé: per
aspettare il ritorno del Mahdi, l’imam nascosto).
Questa differenza ha
portato i sunniti ad accusare gli sciiti di eresia, e gli sciiti ad accusare i
sunniti di avere dato vita a sette estreme, come gli wahabiti più
intransigenti: tuttavia le due sette dell’Islam non hanno mai dato vita a una
guerra delle dimensioni ad esempio della Guerra dei Trent’anni, che tra il 1618
e il 1648 mise le diverse sette cristiane una contro l’altra in Europa.
La rivalità tra sciiti e sunniti è scoppiata a livello politico a partire dalla rivoluzione khomeinista in Iran del 1979, che ha portato alla cacciata dello scià iraniano, che fino a quel momento era stato tra le altre cose anche filo-americano, e all’instaurazione di una teocrazia islamica, sciita, in forte contrapposizione con tutti i paesi governati dai sunniti nel Golfo Persico. Dal 1979 le alleanze nella regione si modificarono, e i cambiamenti furono notevoli e con grandi conseguenze: si rafforzò l’inimicizia dei sunniti contro la cosiddetta “mezzaluna sciita”, che dall’Iran passa al regime alawita di Assad in Siria e arriva fino a Hezbollah in Libano.
Questa divisione si
sta realizzando concretamente in diversi paesi del Medio Oriente. In Iraq, per
esempio, ci sono ogni giorno attentati di natura settaria che provocano la
morte di decine di persone: nelle ultime settimane la violenza nel paese è
aumentata, ma è da diversi anni che gli scontri tra iracheni sunniti e governo
sciita vanno avanti, più per ragioni politiche di controllo del potere che per
ragioni ideologiche. I paesi che dal 1979 stanno guidando i due fronti
dell’Islam, l’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita, sono entrati da diverso
tempo nella guerra siriana: la prima finanziando i ribelli sunniti, il secondo
mandando dei propri uomini della Guardia Rivoluzionaria e i combattenti di
Hezbollah a combattere in alcune zone della Siria.
Le conseguenze di
quella che è stata definita da più parti come “regionalizzazione” della guerra siriana
sono già molto visibili: la violenza del conflitto ha raggiunto livelli
altissimi e ci sono sempre più testimonianze di brutalità e violazioni gravi
dei diritti umani che ogni giorno vengono compiute in Siria. Il recente
coinvolgimento di Hezbollah, confermato per la prima volta qualche
giorno fa dal leader del movimento Hassan Nasrallah, ha radicalizzato ancora
più lo scontro e ha permesso al fronte di Assad di recuperare molti villaggi e
città nella zona della Siria che oggi viene considerata più importante dal punto di vista
strategico: quella a nord del confine con il Libano, che dalla capitale siriana
Damasco porta alla costa occidentale del paese.
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